Non aver paura di essere diverso

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. luigiilfollettodeiboschi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Era il 2006. Avevo da poco finito il militare, avevo tanti pensieri e tanti impulsi nella mia testa... e fu così che nacque questo mio primo romanzo (completato nel 2007). Dani e Morgane l'hanno letto, anche se loro hanno ricevuto una bozza piena zeppa di errori. E' passato tanto tempo da allora, e tante cose sono successe. Io forse però sono sempre un pò lo stesso. Il protagonista della storia mi somiglia molto. Per caso l'ho ritrovato pochi giorni fa... e mi piacerebbe condividerlo qui. Lo stile è quello che è... ma infondo erano gli inizi. Vi posto i primi capitoli. Ps alcune parole risultano separate (es pa-drone) ma solo perchè nel copiarlo dal file word al forum mi crea questo. Non è voluto.

    NON AVER PAURA
    DI ESSERE DIVERSO

    Di
    Luigi Dinardo

    1
    Dilemmi esistenziali

    Tutti dicono che sono un tipo strano. Forse hanno ragione, ma so-no fatto così, non posso farci nulla. Non riesco a staccarmi dalle mie piccole stranezze per cercare di essere “normale” come tutti vorreb-bero. Ma in fondo chi è normale? Il bello è proprio questo: Siamo tutti diversi. Tutti noi abbiamo passioni, hobby e gusti diversi. Alla fine però siamo tutti esseri umani e facciamo tutti parte di questo mondo spietato che giudica senza pietà lasciando dietro di sé solo briciole.
    Penso che la gran parte degli esseri umani sia razzista. Potete co-minciare a insultarmi, potete chiudere il libro facendo finta di non capire, ma sono sicuro che facendovi un attento esame di coscienza mi dareste ragione. Provate a pensarci: Sin dalle scuole elementari tutti noi abbiamo insultato, preso in giro e isolato qualcuno della no-stra classe. Non provate a negarlo. Non ha importanza se si trattasse del secchione, del ciccione o del tipo con i capelli rossi. Forse anche inconsapevolmente, tutti noi siamo stati artefici del dolore di qualcun altro. Ce ne rendiamo conto solo quando la cosa ci si ritorce contro.
    Alle scuole elementari ero come tutti gli altri, o quasi. Cercavo di stare nel “gruppo” dei più importanti per non essere preso di mira dagli insulti e dai soprusi. Non ci riuscii. Ero grasso, piagnucolone ed ero diventato lo zimbello di tutta la classe. Ero vittima di scherzi, in-sulti e altre angherie che non sto qui a raccontarvi. Ero solo contro tutti, e non avevo la forza di reagire. Ero come un ebete trascinato dalla forza degli eventi senza neanche muovere un ciglio. Se mi fossi ribellato, sarebbe stato ancora peggio, avrei subito molto di più.
    Pensavo che fosse proprio vero quello che dicono. Spesso le parole fanno più male dei ceffoni. Mio padre mi picchiava spesso perché a scuola andavo abbastanza male, ma mi ferivano molto di più le sue parole. Nonostante ero solo un bambino, diceva che ero un fallito e che se avessi continuato così, sarei finito per vivere in mezzo ad una strada. Però lui non sapeva. Lui non sapeva il mio disagio, quello che ogni giorno dovevo sopportare in quella terribile classe. No, lui non sapeva.
    Come se non bastasse, ero l’unico mancino della classe, e fui preso in giro anche per quello, anche se ancora oggi non capisco il perché. Ero diverso ai loro occhi. Potevo provare a cambiare, ma so che comunque non sarebbe servito a nulla. I loro giudizi non mi scalfiva-no più di tanto, ma so che per colpa loro stavo perdendo la mia auto-stima. Non mi piacevo più, sia fisicamente, sia mentalmente. Conti-nuavo a pormi mille domande. Perché non riesco ad essere arrogante e presuntuoso come loro? Perché non posso essere migliore di così? Perché io e non qualcun altro? La mia testa pullulava d’interrogativi irrisolti. E poi ci si metteva anche mia madre con la sua innata cre-denza in Dio e nella Chiesa. Cominciai a frequentare il catechismo e mia madre mi portava in chiesa ogni domenica. Che pizza! Non erano sufficienti i compiti di scuola, dovevo anche sorbirmi la storia di Gesù, Dio e tutti gli altri. Sinceramente non me ne fregava nulla che Noè avesse l’arca per riunire i suoi animali, né tanto meno m’importava qualcosa che Abramo volesse sacrificare suo figlio per volere di Dio.
    Lo so. Probabilmente molti di voi staranno storcendo il naso nel sentire queste mie dichiarazioni che all’apparenza possono sembrare assurde. Io però ho le mie ragioni per non credere in Dio e in tutte quelle storielle da cartone animato che la Bibbia ci propina. Provate a pensarci. Voi siete liberi di credere in Dio, Gesù e tutto quello che volete. Potete crederci, ma io continuo a chiedermi: Ne vale davvero la pena? Sin da piccoli ci insegnano che Dio è il bene, ci protegge, ci fa stare bene. Come posso credere nell’esistenza di Dio se ogni giorno vedo guerre ingiustificate sparse in tutto il mondo e che provocano milioni di vittime? Come posso credere in un Dio se ogni giorno ci sono persone malvagie che commettono omicidi e rapine, facendola franca a discapito delle persone oneste? Come posso credere in Dio se ogni giorno ci sono persone che muoiono di fame sui marciapiedi delle strade mentre altri mangiano caviale e salmone a bordo di uno yacht a largo della costa Azzurra? Come posso credere in un Dio se ogni giorno ci sono preti che violentano ragazzini predicando la povertà ma andando in giro con automobili da cento mila euro? No, non ci credo. Non crederò mai nell’esistenza di Dio neanche se avessi le prove. Molti a queste mie considerazioni hanno risposto tutti (pateticamente) nella stessa maniera. Dio non può far si che nel mondo ci sia solo il bene, ma anche il male perché è giusto che noi (poveri) esseri umani proviamo la sofferenza che lui stesso ha provato. Sembra una di quelle patetiche frasi fatte che si sentono spesso nei film o nelle soap opere. Certe discussioni mi fanno solo disgustare. Vorrei proprio averlo di fronte a me questo Dio per scambiare quattro chiacchiere con lui. Gli chiederei il perché dell’esistenza delle malattie, della sofferenza e della morte. Perché? Me lo immagino lassù che ci osserva e ride delle nostre disavventure, delle nostre sof-ferenze, proprio come in uno di quei reality show che vanno tanto di moda in questo periodo. Se l’avessi dinanzi a me, gli chiederei perché lui ha fatto sì che un ragazzo rom ubriaco uccidesse quattro poveri ragazzini innocenti con il suo furgone. Probabilmente questo ragazzo la farà franca grazie all’indulto o a qualche altra assurda legge italiana (anzi, ora è anche il testimonial di alcuni prodotti). Gli chiederei perché un ragazzo di Torino si è suicidato a causa dei suoi compagni di scuola che lo facevano sentire un “diverso”. Potrei chiedergli mille cose, come la vicenda del ragazzo che ha fatto una strage nell’università della Virginia, se sia giusto che un “uomo” come Bush sia stato a capo degli Stati Uniti per tanto tempo nonostante tutto quello che ha combinato in Iraq (speriamo in Barack Obama ora). Potrei stare ore ed ore a parlare, ma so che comunque avrei sbraitato a vanvera, perché nessuno mi toglie dalla testa che Dio non esiste.
    Comunque posso capire chi ci crede. Noi esseri umani siamo preda di eventi che non conosciamo, di vite quotidiane piene d’insidie, ma quello che è più sconvolgente è che siamo soli. Siamo soli, lo siamo tutti. Spesso per non sentirci affranti nelle nostre miserabili vite sentiamo il bisogno di credere in qualcosa di più grande e più potente di noi, sentire il conforto supremo di qualcuno che in realtà nessuno sa con certezza se esiste. Già, l’unica prova certa che abbiamo è che non ci sono prove. Quando ci sentiamo soli, affranti, disperati, sentiamo il bisogno di pregare affinché tutto vada per il meglio. Quante volte ho guardato le stelle, sognando qualcosa di migliore, sognando che qualcosa potesse effettivamente cambiare. Speranze perse nel vento. Quel vento che porta tutto via con sé, senza lasciare neanche un briciolo di speranza. Tutto cancellato. Non rimane più nulla.
    Scusatemi se mi sono dilungato, credo di averlo fatto oltre il ne-cessario. Stavo parlando di me e delle mie “disavventure” scolastiche e mi sono lasciato trasportare dal mio perenne ateismo nei confronti della Chiesa (ps non so se questa frase sia grammaticalmente corretta, però a me piace). Tra l’altro vi chiedo scusa perché non mi sono ancora presentato. Io sono Marco, piacere. Dove eravamo rimasti? Ah sì, stavamo parlando delle scuole elementari. Beh, per fortuna quei cinque anni terminarono, con tutte le mie incertezze e timidezze. Ma la cosa più deprimente era la mia solitudine. Non avevo nessun amico.

    2
    Piccoli segnali di vita

    Le scuole medie per me furono come una copia di un qualcosa che era già avvenuto. Tutto cominciò com’era già successo alle elementari. Mi lasciarono in pace quando nella nostra classe venne un nuovo studente, Raouf, un ragazzo tunisino che comunque parlava bene l’italiano perché era di madre italiana. Non credevo si potesse essere così spietati. Lui era la vittima, io non lo ero più. Guardavo lui e rivi-vevo quello che in passato avevo vissuto io. Soffrivo, volevo interve-nire, ma non ne ero capace, mi mancava il coraggio. Dentro di me mille emozioni entrarono in contrasto tra loro, lasciandomi in balia di quell’amara crudeltà che quotidianamente marchiava a fuoco la mia pelle, rendendola vulnerabile. Una pelle sempre più fragile e screpo-lata, alla quale non sarebbe servito nulla per farla ritornare liscia e pura come una volta.
    Passavano i mesi e la situazione non cambiava, fino a quando presi un po’ di coraggio e decisi di intervenire. Ricordo benissimo quel momento. Rimarrà indelebile per sempre nella mia memoria perché fu la prima volta in vita mia che uscivo dal guscio, prendevo una po-sizione. Il cuore cominciò a battermi all’impazzata, come se stessi per fare qualcosa che avrebbe influito per sempre nel resto della mia miserabile vita. Mi avvicinai ad Alessandro, il bullo in questione, e gli dissi di lasciare in pace Raouf perché non se lo meritava. Mentre lo dicevo, ci credevo, perché per me era vergognoso vedere una persona discriminata solo per il colore della sua pelle. Non potevo sopportare per sempre quegli affronti senza intervenire. Sarei stato un vigliacco per sempre e non avrei mai imparato ad uscire gli attributi quando serviva.
    Alessandro indispettito dal mio atteggiamento mi spinse. Fu allora che non ci vidi più. Non ragionavo più, il mio corpo era in balia della pazzia. Gli tirai un pugno in pieno viso, lasciandolo sanguinante per terra. Il suo naso era visibilmente malconcio. La cosa più bella di quella situazione fu il mio improvviso orgoglio. Non credo di averne mai avuto uno prima di allora. Non potevo crederci. Quei pochi se-condi sarebbero stati impressi per sempre nella mia memoria come uno dei ricordi più gratificanti della mia memoria. Era il mio primo pugno dato a una persona. Non so il perché ma provai una leggera sensazione di piacere nell’essermi fatto giustizia da solo. Anzi, ho mentito. Provai una forte sensazione di piacere che mi fecero stare per alcuni istanti in paradiso. Un paradiso che però durò poco. Mentre mi crogiolavo nella soddisfazione, non feci attenzione alla reazione di Alessandro. Si alzò lentamente da terra tenendosi con la mano sinistra il naso. Mi osservò con rabbia per un secondo e poi con un destro potente mi tirò un pugno in faccia. Bersaglio colpito. 1-1 palla al centro. Non feci neanche in tempo ad accorgermi del dolore pro-vocato da quel pugno che proprio in quell’istante entrò la professo-ressa di Storia dell’arte. Io e Alessandro fummo trascinati controvo-glia in un’altra aula, per chiarire le cose come stavano e per infliggere eventuali sanzioni. Con me e Alessandro venne anche Raouf che voleva chiarire la sua posizione in merito. La professoressa Marzoratti decise di sentire anche i pareri della classe e, dopo una buona mezzoretta, prese la decisione di mettere una nota a me e ad Alessan-dro. Ero profondamente deluso. Mi ero esposto per Raouf, avevo tro-vato quel coraggio che credevo di non avere, e lui, nemmeno mi rin-graziò. A dir la verità non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Come era possibile? Il mio primo e forse unico atto di coraggio non era val-so a nulla? Quel giorno doveva essere ricordato come trionfante, in-vece lo catalogai insieme alle altre brutte figure della mia vita. Ma forse questa volta la colpa non era esclusivamente mia. Sentivo di non averne responsabilità, almeno non tutte. Forse qualcosa stava cambiando.
    I giorni passarono e la situazione era tranquilla, nessuno mi pren-deva più in giro, né a me, né a Raouf, ma il silenzio di quella situa-zione era insopportabile. Decisi di agire. Dovevo fare qualcosa, quel clima estremamente silenzioso poteva nascondere una bufera. Tra la terza e la quarta ora mi avvicinai a Raouf e gli dissi un caloroso <<ciao>>. Lui non rispose e continuò ad ignorarmi.
    <<si può sapere cosa ti ho fatto? Perché mi eviti?>>, domandai ir-ritato.
    <<non ti sto evitando, ti sto solo ignorando.>>
    Quelle due parole per me avevano lo stesso significato.
    <<perché?>>, replicai.
    <<perché non mi è piaciuto il comportamento che hai assunto l’altro giorno per difendermi.>>
    Ero incredulo, sbalordito. Non solo l’avevo aiutato (da quel mo-mento non veniva più preso in giro), ma mi aveva colpevolizzato per quel gesto. Forse il mondo stava girando al contrario, o forse ero vit-tima di “Scherzi a parte”.
    <<che cosa avrei dovuto fare?>>, chiesi quasi indispettito.
    <<non dovevi fare nulla. La violenza non è mai la strada giu-sta.>>
    Solo in quel momento mi resi conto che mi ero abbassato al livello di Alessandro. Io che predicavo giustizia, ero stato il primo ad agire in una maniera così misera. Mi sentii un sudicio verme. Avevo commesso un errore imperdonabile. Non ero io. Decisi di scusarmi con Raouf.
    <<scusami, puoi perdonarmi?>>, dissi con profonda sincerità.
    Lui si voltò e mi sorrise.
    <<certo!>>
    Risposi con un altro sorriso. Da quel momento diventammo amici. Che bella coppia eravamo! Il ciccione e il negro, così eravamo apo-strofati da tutti. Comunque ero più sicuro, avevo più rispetto per me stesso, non avevo intenzione di farmi mettere i piedi in testa da nes-suno. Quei giorni mi avevano reso più forte.
    Le scuole medie scivolarono via tranquillamente o quasi, nono-stante fummo promossi entrambi con sufficiente. Io e Raouf ci iscri-vemmo alle scuole superiori. Entrambi decidemmo di ritrovarci nella stessa classe, quindi di iscriverci alla stessa specializzazione. Anda-vamo molto d’accordo, anche se c’era un ostacolo tra noi: la religione.
    Lui era un profondo religioso, pregava prima di ogni pasto, andava a messa tutte le domeniche e conosceva tutte quelle storie della bibbia che io definivo da “cartoni animati”. Non mi andava di litigare con lui per l’esistenza di Dio o cavolate varie, anche se sarei stato curioso di sapere la sua giustificazione alle varie ingiustizie con le quali il mondo ci mette ogni giorno a confronto. Il discorso per noi era quasi tabù. Ricordo ancora l’imbarazzo che provai quell’unica volta che fui ospite a cena dalla sua famiglia. Ero imbarazzato, mi chiesero di dire la preghiera prima di cominciare a mangiare. Il panico s’impossessò di me. La verità era che non la sapevo bene, e allora m’inventai la scusa di essere senza voce. Che figura di merda che feci! Li guardavo in silenzio senza neanche fiatare. Mi sembravano degli extraterrestri. Speravo di non provare ulteriori disagi quella sera, ma invece… Subito dopo cena loro cominciarono a parlare di Dio, Gesù, della bibbia e di tutte quelle storie che io non sopportavo. Il padre di Raouf cominciò a parlarmi della Torre di Babele, Mosè ecc. Mamma mia che noia! Feci in modo di non farmi più invitare a cena. M’inventavo sempre qualche scusa: Mi fa male la testa, devo andare a un compleanno, devo studiare, mia madre non vuole. Queste erano solo alcune tra le scuse da me inventate. Comunque a parte questo, io e Raouf andavamo molto d’accordo. Almeno così sembrava.
    A scuola filava tutto liscio, forse troppo, non mi sembrava vero che stessi vivendo un momento così sereno. Era solo un fuoco di paglia? Lo scoprirete presto. Naturalmente quello è anche il periodo delle prime cotte, dei primi amori. Mi ero innamorato di una persona già alle scuole medie, ma non l’ho mai detto a nessuno e non lo farò nemmeno con voi, almeno per ora. Forse di voi posso fidarmi. Se vi racconto le cose come stanno, promettete di non dirlo a nessuno? Va bene, mi fido.

    3
    Segreto svelato

    Mi ero innamorato di Marcello, un ragazzo della mia classe buono e gentile. Adoravo quel suo modo di fare così riservato ma efficace. E poi ogni volta che fissavo la sua bella bocca carnosa immaginavo i nostri corpi immersi in un turbinio di piacere mentre le sue tenere ma forti labbra assaporavano le mie. Sognavo troppo, dovevo smetterla. In genere mi sono sempre piaciuti i bastardi come Alessandro, ma lui era diverso. Ogni volta che lo vedevo il mio cuore batteva forte all’impazzata, come mai mi era successo prima. Naturalmente, es-sendo timido, brutto e grasso, sapevo di non avere nessuna possibili-tà, mi misi l’anima in pace, anche se comunque non smettevo mai di sognare e fantasticare su di lui, su di noi. Anche se sapevo che non sarebbe mai stato mio, avevo qualcosa di bello nella mia testa che mi dava la forza per guardare avanti, per avere il sorriso sulle labbra, anche quando non c’era nulla per la quale valesse la pena essere con-tenti. Continuavo a guardare e riguardare quell’unica foto che ci ri-traeva insieme durante una visita guidata a Castel del Monte, il ca-stello ottagonale costruito per ordine di Federico II attorno al 1240 ad Andria. Tra l’altro è anche raffigurato sulla moneta da un centesimo di euro. Di quella giornata la nostra classe porta come ricordo una foto davanti al famoso castello. Io stavo al centro, e alla mia sinistra per puro caso c’era proprio lui, Marcello, sorridente mentre guardava nell’obiettivo.
    A quei pochi che sono rimasti a leggere questa storia, dico che probabilmente voi siete rimasti un po’ turbati da tutte quelle “diversi-tà” che mi contraddistinguono e molti di voi negherebbero nel dire che non sono omofobi nei confronti degli omosessuali. Beh, natural-mente c’è sempre l’eccezione, ma molti di voi dicono la cosa più giusta, quella che si dice facendo la parte dei moralisti lavandosi la coscienza, ma in realtà non è assolutamente così. Voi vi starete chie-dendo da dove nasce tutta questa mia sicurezza e arroganza. Beh, preferisco di gran lunga la mia arroganza che le false moralità di molte altre persone che nei vari talk show televisivi dicono che non c’è nulla di male nell’essere gay, ma che poi quando scoprono di ave-re un figlio omosessuale lo cacciano di casa a calci nel sedere (per non essere maleducato non uso un'altra parola più esplicita).
    Vorrei parlare a tutte queste persone e far loro un bel discorsetto. Come prima cosa omosessuale si nasce, non si diventa, almeno questa è la mia personale opinione ed esperienza a riguardo. Poi che fastidio diamo se amiamo persone del nostro stesso sesso? Che problema avete voi etero? Cosa vengo a togliere io e il mio compagno alla tua felice relazione etero? Penso che coloro che dicriminano gli omosessuali non guardano la questione sotto il profilo dell’amore, ma solo sotto quello del sesso. Non vorrei essere volgare ma loro immaginano un ragazzo che lo prende in quel posto da un altro ra-gazzo e allora si disgustano. Loro non pensano che un uomo possa essere innamorato di un altro uomo. Loro vedono solo quello che vo-gliono vedere. Rifletto spesso quando sento ragazzi umiliati, insultati, picchiati e uccisi solo perché sono gay (lo stesso discorso vale per le persone di colore). Non siete capaci di vivere la vostra vita lasciando in pace la nostra già difficile esistenza? Nessuno che ci da peso, ma la discriminazione basata sull’orientamento sessuale è la prima causa di suicidio dei ragazzi italiani. Tutto questo potrebbe essere evitato se le persone pensassero di più ai fatti propri invece di “apostrofare” l’omosessualità come una malattia, un virus, una catastrofe sociale, una vergogna per la famiglia. Purtroppo non c’è la corretta informazione. Poi negli ultimi tempi si è parlato molto spesso di Dico, Pacs e cavolate varie. Leggi buttate lì senza un vero progetto alle spalle al quale secondo me non credono nemmeno i politici. Certe cose i politici le fanno di nascosto, ma non le ammetterebbero mai in pubblico. Un politico gay o che va a trans sarebbe la vergogna per l’intero partito, soprattutto se di destra. Un politico beccato con le mani nel sacco non sarebbe più un politico perché la sua vita profes-sionale sarebbe compromessa per sempre. Ed anche “grazie” a questi comportamenti che poi si sente parlare di tragedie come quella di Matteo, il ragazzo di Torino che si è tolto la vita perché i suoi com-pagni di scuola lo facevano sentire un diverso chiamandolo gay. Non so e sinceramente non m’interessa sapere se effettivamente Matteo fosse gay oppure no, ma mi chiedo come sia possibile che nel terzo millennio accadano ancora queste cose. Com’è possibile che il preside sapeva di questi comportamenti e non abbia mai fatto NULLA per risolvere la situazione prima che degenerasse? Sono semplicemente allibito. Se fosse stato per me, non avrei avuto pietà. Avrei sbattuto la preside per almeno dieci anni in cella facendola meditare su quello che ha fatto, anzi, su quello che non ha fatto. Invece ai compagni di scuola (chiamarli compagni mi sembra una parola sin troppo carina per quei giovani mostri) avrei come prima cosa vietato di frequentare la scuola a tempo indeterminato, poi li avrei costretti per qualche anno a fare lavori socialmente utili. So cosa ha provato quel povero ragazzo. Non l’ho ancora raccontato, ma so sin troppo bene cosa significa sentirsi diverso, sentirsi insultato, sentirsi estraneo, sentirsi solo. E non venite a raccontarmi che potete capire bene cosa può provare una persona omosessuale. Non potrete mai saperlo se non lo vivete in prima persona. Voi non sapete il dolore che proviamo ogni giorno in famiglia, a scuola, per strada, con gli amici. Voi non sapete l’inferno che sconvolge la vita di ogni adolescente quando scopre di essere “diverso” e non poterlo gridare al mondo. Voi non sapete cosa vuol dire avere un padre che ti dice <<mi fai schifo>>. Voi non sapete co-sa vuol dire essere innamorati di un amico e avere paura di dirglielo. Voi non sapete cosa vuol dire avere gli occhi di tutti puntati su di te senza aver fatto nulla di male. No, voi non lo sapete.
    Secondo me è anche la mentalità delle persone che è sbagliata. Spesso alcune persone per insultarne altre, usano parole come ric-chione, frocio, finocchio, culattone. Il problema è che non sono in-sulti, anche se espressi in quella maniera. Certi termini danno solo il “giusto valore” alle persone che le pronunciano, ovvero zero.
    Ricordo benissimo quella volta in cui stavamo pranzando e al te-legiornale si stava parlando di una manifestazione sull’orgoglio omo-sessuale, il Gay Pride. Mio nonno disse questa frase:
    <<mamma mia che schifo, dove andremo a finire, ora si sposano uomini e uomini, donne e donne, ma che razza di mondo è questo?>>
    Mia madre rispose dicendo:
    <<ai tempi nostri non c’era certa gente. Sarà stato il benessere che ha creato questi mostri.>>
    Naturalmente non mi stupii più di tanto, però ebbi la consapevo-lezza di avere a che fare con una famiglia di deficienti, che a con-fronto Willy il Coyote è un premio nobel per l’intelligenza (con tutto il rispetto per Willy il Coyote). Sentire certi discorsi ignoranti come quelli di mia madre sul dire che lo sviluppo della società è la causa della creazione di questi “mostri”, beh rido per non piangere. Mi fa davvero pena.
    Ci sono alcuni che mi fanno davvero arrabbiare quando cercano di giustificare certe parole e certe persone dicendo frasi come questa:
    <<loro hanno una mentalità antica, bisogna capirli.>>
    Capirli? Perché? Ma per piacere! E poi cosa significa “mentalità antica”? Non mi venite a dare giustificazioni fasulle. Siamo tutti es-seri pensanti e tutti sappiamo cosa è giusto e cosa non lo è. Non è come essere di un partito piuttosto che di un altro. Tutti sanno che omosessuali si nasce e non si diventa, ma anche se non fosse così, non vedo dove stia il problema. La verità è che queste persone non bisogna giustificarle dicendo “mentalità all’antica”, la verità è che queste persone sono razziste e/o omofobe. L’essere umano ha bisogno di mettere sotto pressione le varie minoranze, non ne può fare a meno. Molti di noi vivono delle vite grigie e quando capita, cerchiamo di mettere il nostro prossimo in difficoltà. Sono poche le persone che non sono invidiose della felicità altrui. L’essere umano è una macchina tanto affascinante quanto imperfetta.
    Ogni tanto mi viene da pensare al mondo che ci circonda. Ragazzi che picchiano un disabile, ragazza uccisa da un colpo d’ombrello in un occhio. Ma che razza di mondo è mai questo?! Sarei contento nel dire <<ho sbagliato>> per quanto riguarda l’esistenza di Dio, sarei contento di vedere un mondo felice e in pace, ma credo che le mie domande e i miei dubbi non avranno mai una risposta. Quanto dolore e quanta malvagità c’è in questo mondo? Direi tanta, sicuramente troppa.

    4
    La svolta

    Lo so, come al solito mi sono lasciato prendere la mano e ho ac-cantonato il discorso che stavo intraprendendo in precedenza. Stavo parlando di questa mia cotta adolescenziale per Marcello, un ragazzo buono e gentile. Sapevo che non c’era alcuna speranza, già da quel momento il mio pessimismo prevaleva, per questo mi limitavo solo ad osservarlo. Era il quarto anno quando la situazione prese una svolta assolutamente inaspettata.
    Chiesi alla professoressa il permesso di andare al bagno. Lei ac-consentì. Dopo aver fatto i miei bisogni, mi avvicinai al lavabo per sciacquarmi le mani. Il bagno era deserto, non c’era nessuno. Aprii il rubinetto e l’acqua scese lenta ma fredda sopra le mie mani. In quel momento entrò lui, Marcello. In quell’istante, evidentemente imba-razzato, feci finta di non essermi accorto della sua presenza. Indiriz-zai il mio sguardo verso le mattonelle color prugna del pavimento. Cercai con tutta la mia forza di non incrociare il suo sguardo. Lui pe-rò notò il mio imbarazzo. Venne da me, chiuse il rubinetto dell’acqua e mi tirò a se. Il mio respiro si faceva sempre più affannoso. Mi ab-bracciò intensamente ed io ero al settimo cielo, anche se continuavo a domandarmi cosa potesse trovarci lui d’interessante in una palla di lardo come me. Dopo quell’intensissimo abbraccio, lui prese con dolcezza la mia testa e si apprestò a darmi il mio primo bacio. Certo non era la situazione più romantica quella, nel bagno dei ragazzi, ma chi se ne frega! Già cominciavo ad assaporare le sue labbra, nono-stante il contatto non ci fosse ancora stato. Sembrava come in uno di quei film romantici, dove la scena del bacio sembra quasi che duri un’eternità. Lo guardai per la prima volta intensamente dentro i suoi splendidi occhi color petrolio grezzo. Sì, stava per avvenire, il mio primo bacio. Proprio in quel momento entrò in bagno il professore di Matematica Dainelli che ci beccò prima ancora che Marcello ed io ci dessimo quel maledetto bacio. La situazione comunque era inequivo-cabile. Eravamo terrorizzati. Non riuscivamo a guardare il nostro professore negli occhi. Quel silenzio era assordante, eterno, faceva molto più male di mille parole gridate in una piazza piena di gente. Sapevo che la mia vita da allora in poi non sarebbe stata più la stessa. Tutto sarebbe cambiato. Dovevo crescere prima del previsto.
    <<oh! Mio Dio. La professoressa Gussoni mi aveva incaricato di venirvi a cercare poiché sono già quindici minuti che mancate dall’aula. Certo, non mi sarei immaginato di trovare due allievi im-mersi in un rapporto sessuale!>>
    Marcello cercò di rimediare e replicare a quelle accuse, mentre io ero completamente sconvolto dalla situazione che si era venuta a creare. Mille pensieri invasero la mia mente. Non riuscii più a pensare a qualcosa di sensato. La paura aveva completamente invaso il mio corpo e la mia capacità di ragionare. Cosa sarebbe successo ora? I miei genitori l’avrebbero saputo?
    <<professore, non stavamo facendo sesso. Non vede che siamo completamente vestiti? E comunque posso spiegarle tutto.>>, replicò Marcello visibilmente impaurito da quella situazione.
    <<spiegare tutto? So benissimo quello che ho visto. Non ho mai visto in vent’anni di insegnamento una cosa del genere. Preparatevi a passare dei guai seri. Seguitemi in presidenza.>>
    Il professor Dainelli ci accompagnò dal preside, al quale spiegò in poche parole quello che era successo, anzi, quello che non era suc-cesso, ma ovviamente le nostre parole di discolpa non servirono a nulla. Io e Marcello non avevamo il coraggio di guardare il preside negli occhi. Tentavamo di discolparci fissando le nostre scarpe. Il preside invece ci guardava eccome, con un’espressione di forte di-sgusto. Percepivo chiaramente tutto il suo odio e rancore nei nostri confronti. Neanche i delinquenti sarebbero stati trattati come lo siamo stati noi.
    <<sarò costretto a chiamare le vostre famiglie e a raccontare loro l’indecente accaduto. Poi con loro prenderò le decisioni più opportu-ne in merito. Potete andare ora. Professore, li riaccompagni fuori.>>
    Ero terrorizzato. La mia famiglia sarebbe venuta a sapere quello che ero e sapevo che non avrebbero preso bene la cosa, in particolare mio padre. Mi preparavo a vivere un’esistenza d’inferno. Leggevo lo stesso terrore negli occhi di Marcello. E pensare che non c’eravamo scambiati nemmeno un bacio, quel bacio.
    Un’ora dopo, i nostri genitori erano in presidenza e si apprestavano a scoprire l’amara verità mentre Marcello ed io aspettavamo fuori. Quando mio padre uscì dalla presidenza visibilmente rosso di rabbia in viso, mi prese a schiaffoni violentemente, sotto gli occhi di tutti. E poi mi disse quella famosa frase che forse faceva anche più male di dieci ceffoni: <<mi fai schifo!>>
    Intanto Marcello e sua madre si erano già volatilizzati.
    Il tragitto da scuola a casa in auto fu comunque emblematico. Mio padre continuava a dirmi tutto il suo sdegno e il suo odio nei miei confronti. Parlava a raffica, sembrava quasi fosse posseduto da qual-che entità sovrumana. Io però non volevo sentire le sue atrocità. La mia mente era completamente vuota, nessuna parola e nessun pensiero circolavano nel mio cervello. Il terrore e la paura di quello che ne sarebbe stato di me mi assalì completamente. Forse mi avrebbero uc-ciso a coltellate e sepolto nel giardino di famiglia, o forse mi avreb-bero buttato fuori di casa dopo avermi pestato ben bene. Cosa mi sa-rebbe capitato?
    Mio padre trattenne un attimo il respiro, e poi cominciò a parlare.
    <<ho deciso che questi due anni di scuola che ti restano, te li farai in Sicilia, e non qui in Puglia. Ti lascio da zia Marisa che si occuperà di te, lì frequenterai gli ultimi due anni delle superiori. Col preside è già tutto apposto, abbiamo raggiunto l’accordo. Ha già provveduto al tuo trasferimento. E poi voglio che quando sarai lì, andrai subito da uno psicologo che cercherà di guarire questa tua malattia, questo virus che ti è venuto. I bagni della scuola sono molto sporchi, forse è lì che sei stato infettato. Zia Marisa si occuperà di te, tu dovrai ubbidirle. Non voglio sentire storie. L’importante è che tu stia un po’ lontano da noi. Non ti vogliamo da malato. Potrai tornare solo quando sarai guarito.>>
    Il suo tono era sprezzante, a tratti diabolico. La sua faccia era cat-tiva e malvagia, più di quanto ero abituato in 17 anni di vita.
    Non potevo crederci. Mi stavano cacciando. La mia fortuna era che non ero ancora maggiorenne, sennò probabilmente mi sarei ritro-vato a vivere su un marciapiede o nella stazione. Non avrei più rivisto Marcello, né tanto meno il mio amico Raouf. Non mi restava più nulla. Quella non era più la mia città, non c’era niente che mi legava a quel posto così arretrato mentalmente.
    La partenza per la Sicilia era fissata per il giorno dopo. Passai tutto il pomeriggio a preparare la valigia sotto la supervisione di mio padre, che controllava tutto quello che mi dovevo portare. La sua paura era che potessi portarmi oggetti troppo femminili. Non potevo crederci, si rischiava di sfiorare l’assurdo. Che pensava che mi sarei portato il lucidalabbra e i trucchi? Assurdo! Poi mi fece anche portare un pallone da calcio.
    <<il calcio è uno sport da veri uomini>>, disse lui convinto.
    Non avevo un pallone, ma comunque sono sempre stato un gran tifoso di calcio, e del Milan in particolare. Adoravo il Milan perché è sempre stata una squadra forte, ma signorile ed educata. Naturalmen-te odiavo la Juventus perché vinceva sempre con episodi “dubbi” a proprio favore. Alla fine non erano solo episodi come un certo signor Moggi insegna… Ricordo che spesso in classe s’ironizzava sui rigori concessi alla Juve. Un giocatore Juventino cade in area da solo? È ri-gore perché l’erba ha fatto il fallo!
    Mio padre voleva che non mi portassi dietro il cd di Tiziano Ferro. Lo considerava un cantante solo per ragazzine. Alla fine ebbi ragione e il cd riuscii a inserirlo insieme agli altri bagagli. Sarà pure mio diritto ascoltare quello che voglio io o anche questo mi è vietato? Tiziano Ferro era il mio cantante preferito, e lo è ancora adesso. Le sue non sono semplici canzoni, ma sono melodie straordinarie. Pura poesia.
    Purtroppo mio padre trovò su un quaderno questa poesia che scrissi qualche settimana prima. Mi vergogno un po’ a farvela leggere, ma va bene, mi devo aprire un po’ con il mondo, ma forse di più con me stesso.

    IL NOSTRO LEGAME

    Sento i nostri corpi ruvidi,
    assorti e maestosi,
    in questa sabbia spettatrice
    di un amore sbagliato.
    Vedo il respiro affannoso del mare,
    lungo e implorante,
    mentre contempla il nostro legame.
    Percepisco la presenza dei gabbiani
    mentre volteggiano dubbiosi
    in questo cielo terso,
    dove io aspetto il ricordo del domani.
    Vivo questo momento,
    lungo e intenso,
    mentre godo dell’ignoranza
    di questo mondo di carnefici.

    Quella sera passai la notte a pensare e ripensare, non riuscivo a dormire. Nella mia mente una domanda echeggiava: <<che ho fatto di male per meritarmi questo?>>
    Forse col tempo avrei capito, o forse una spiegazione semplice-mente non c’era.

    5
    In Sicilia

    Il mattino seguente ero pronto per partire. Mio padre mi avrebbe accompagnato con la sua auto. Forse pensava che avrei provato a scappare chissà dove. Avrei passato ore ed ore in viaggio da solo con lui. È proprio vero che non c’è mai fine al peggio! Presi tutti i miei risparmi e li misi nel portafoglio che gelosamente conservavo nella mia tasca sinistra. Quel mattino ricevetti un sms da parte di Raouf. Chissà cosa mi avrebbe detto.
    Ciao Marco, mi spiace per quello che ti è successo, ma penso che tu abbia fatto un’azione sbagliata. La Bibbia insegna che l’omosessualità non è una cosa normale e quindi perdonami per quello che sto per dirti, ma la nostra amicizia finisce qui.
    Io rimasi sbigottito, per tanti motivi. Come prima cosa, la notizia di quello che era successo si era divulgata molto velocemente e quin-di, molto probabilmente tutti in paese la sapevano. Non ero però realmente dispiaciuto per questo. Infatti, probabilmente la mia fami-glia sarebbe stata vista in modo diverso da quel momento, ed io ne ero contento perché volevo che provassero anche loro l’emarginazione che ho sempre provato io (seppur in minima parte).
    Certo è che Raouf con quel messaggio mi aveva profondamente ferito e deluso. Cercai di vedere il lato divertente del contesto, ovve-ro che ero stato discriminato da una persona di colore. Preso dalla rabbia, gli inviai un messaggio pieno di odio.
    Vaffanculo pezzo di merda, cancella il mio numero, non voglio più avere a che fare con te.
    Mia madre e mia sorella stavano lì, indifferenti, dinanzi alla porta di casa aspettando che l’auto partisse. Nemmeno un saluto da parte loro. Certo che avevo proprio una famiglia schifosa. Mia madre è sempre stata un po’ esaurita, mentre mia sorella di nascosto rimetteva tutto quello che mangiava. Non ho fatto mai nulla per aiutarla, since-ramente ne sono felice perché lei con me si è sempre comportata male dicendomi che ero un grassone, palla di lardo e fallito (con l’aggiunta di ricchione). Prima di salire in auto mi rivolsi a mia sorella e le dissi una frase che ricordo ancora oggi:
    <<meglio essere grassone e ricchione che malata come te. Tra l’altro sei talmente cessa che neanche un barbone ti sposerebbe.>>
    Non specificai bene il significato di malata in quel contesto perché non volevo che i miei genitori sapessero del malessere di mia sorella, e quindi la potessero aiutare. Non se lo meritava. Doveva soffrire come un cane investito per strada, solo e dolorante. Capii quel giorno che nella vita bisogna essere un po’ cattivi, o almeno non troppo buoni. Si rischia di fare una brutta fine. Le persone appena possono sono pronte ad approfittarne. Devi anticipare le loro mosse. La vita è anche e soprattutto questo.
    Per quella frase ingiuriosa verso mia sorella mi presi un ceffone da mio padre, e senza dire nulla entrai in auto.
    Partimmo. Ci saremmo fermati solo alcune volte per fare i preve-dibili bisogni fisiologici. Per cibarci avevamo disgustosi panini al tonno. Conoscendo mia madre era probabile che quel tonno era sca-duto da qualche anno o che il panino fosse contaminato con qualche sostanza dannosa. Mi misi le cuffie e stetti tutto il tempo ad ascoltare musica, l’importante era parlare il meno possibile con mio padre. In fondo l’unica cosa positiva di quella situazione era che non avrei ri-visto per un po’ di tempo la mia odiata famiglia. Io sarei stato meglio senza di loro, e penso che la stessa cosa si possa dire di loro.
    Dopo tre ore di ascolto musicale decisi di togliermi le cuffie, ne avevo abbastanza. Solo in quel momento ci fu una domanda che echeggiava nella mia mente: <<ma che volto aveva zia Marisa?>> L’unica volta che l’avevo vista avevo appena cinque anni. Ne avevo diciassette e la mia mente non mi dava alcun flashback di quella donna. E poi non sapevo nemmeno dove abitasse.
    <<papà, dove abita zia Marisa?>>
    <<cefalù, provincia di Palermo. Sei anche fortunato perché vai a vivere in un posto di mare>>, disse lui sorridendo, felice di liberarsi di me.
    Cominciai a pensare; forse quello che era successo non era poi così tragico. Potevo trarre giovamenti da quella nuova situazione. Forse c’era più di una fattore positivo in quella situazione da sfruttare.
    <<sei sicuro che alla zia questa situazione non dia fastidio?>>
    <<no, non ti preoccupare. E poi lei mi deve un grande favore quindi siamo pari ora.>>
    Ero curioso di sapere quale fosse questo favore, ma non glielo chiesi.
    <<sai, la zia mi ha detto che ha un amico psicologo. Tu andrai da lui, e grazie a questa sua amicizia con la zia, noi non pagheremo nul-la.>>
    <<ah si? E come mai?>>, chiesi incuriosito.
    <<perché la zia ha fatto un enorme favore a lui.>>
    Mi stavo chiedendo cos’era tutto quel giro di favori. C’era qualco-sa sotto? Senza neanche accorgermi, pensando, mi addormentai. Quando mi risvegliai, era già buio. Mi accorsi di essere ancora vivo, quindi mio padre non aveva tentato di uccidermi durante il sonno.
    <<dove siamo?>>, dissi stropicciandomi gli occhi.
    <<un altro quarto d’ora e saremo a Cefalù.>>
    <<di già?>>
    <<si, ho corso un bel po’. Prima ti lascio meglio è.>>
    Finalmente arrivammo. Lasciò il motore acceso mentre io scende-vo dall’auto. Mio padre non si fermò neanche per salutare la zia che nel frattempo stava ferma sull’uscio di casa. Mio padre rientrò in auto e subito se ne andò. Non si dissero una parola. C’era sicuramente astio tra i due, anche se non capivo il perché. Zia Marisa era apparen-temente simpatica e mostrava almeno cinque anni in meno rispetto ai suoi quaranta effettivi. Quando entrai nella piccola, ma graziosa ca-setta, notai con mio stupore altre due persone.
    <<lei è Letizia, una mia cara amica. Mentre lui è mio padre Amedeo.>>
    Non ci potevo credere. Mio padre mi aveva mentito. Aveva detto che suo padre era morto tanti anni prima per una grave malattia. Cer-cai di chiarirmi subito questo dubbio.
    <<mio padre mi ha sempre detto che il nonno era morto per una grave malattia tanti anni fa>>, dissi confuso.
    Mia zia mi spiegò subito il tutto.
    <<tuo padre ha ragione. Lui è mio padre, ma non quello di tuo padre. La madre è la stessa, il padre no. Tutto chiaro ora?>>
    Tutti i miei dubbi erano stati chiariti, anche se non mi spiegavo perché tutto questo mi era sempre stato taciuto.
    <<scusami zia, e solo che mio padre è un tipo molto schivo. Non sapevo nulla di tutto questo. Almeno in questo caso posso dire di aver preso da mio padre.>>
    <<non ti preoccupare Marco. Sappi che noi viviamo tutti in questa casa. Vedrai che qui ti troverai molto bene, ne sono convinta. Qui ci sono boschi, c’è il mare, qui puoi fare tante cose. Domani mattina ti accompagnerò presso la tua nuova scuola così vedrai dove si trova.>>
    <<scusami zia se mi vedi un po’ a disagio, ma sono convinto che mi adatterò bene in questa nuova situazione.>>
    <>, disse incamminandosi per il corridoio.
    Mi accompagnò in una piccola stanza, molto spoglia, però per for-tuna c’era un computer con la connessione ad internet. La zia guardò il mio sguardo e subito mi ammonì.
    <<potrai utilizzare il computer solo per un’ora al giorno. Non vo-glio che ne diventi dipendente>>, mi ammonì lei con tono severo.
    <<okay. Zia, toglimi una curiosità. Sai il motivo del perché sono qui?>>
    <<certo che lo so. Sei un piccolo teppista, non si allaga la scuola solo perché non ci vuoi andare>>, disse lei sorridendo.
    Come volevasi dimostrare. Mio padre si vergognava di me a tal punto di mentire. Per lui era meglio avere un figlio teppista anziché gay.
    <<zia, quando dovrei andare dallo psicologo?>>
    <<il dottor Zamboni è un mio caro amico e ti farà questo favore senza farsi pagare. Quindi comportati bene. Andrai da lui tre volte a settimana: Lunedì, mercoledì e venerdì.>>
    Si era fatto tardi. Forse era meglio andare a letto. Tornai a salutare Letizia e Amedeo, e solo in quel momento mi accorsi che il signor Amedeo era costretto a stare su una sedia a rotelle.
    Tornai nella mia nuova stanza e disfai le valigie. Disposi le mie cose nei vari cassetti. Poi andai subito in bagno. Mi spogliai subito dei miei vestiti ed entrai in doccia. Mentre l’acqua cadeva sul mio corpo ferito io pensavo. Stavo bene, per una volta nella mia vita le cose non sono andate poi così male, anche se un dubbio comincio ad attanagliarmi. Ero destinato a una vita di menzogna anche lì? Decisi che ci avrei pensato poi. Uscii dalla doccia e tornai nella mia stanza. Mi asciugai velocemente, mi misi il pigiama e andai a dormire. Nel letto come di mio solito cominciai nuovamente a pensare. Pensavo al come una famiglia si priva del proprio figlio senza aver commesso nulla di grave. Pensavo a cosa questa nuova città potesse riservarmi. Difficilmente sarebbe andata peggio. Comunque avevo la consapevo-lezza che avrei trascorso a Cefalù un anno e mezzo della mia vita. Meglio cominciare a farci subito l’abitudine e non abbattersi per qualsiasi cosa. Dovevo imparare ad essere più positivo.

     
    Top
    .
  2. KingForEver
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Caro Folletto,anch'io l'ho letto a suo tempo,ma lo diede la FataMorgana! Non denigrarlo così,è un'opera "giovanile",ma è molto toccante,proprio per quello! Continua a postare perfavore.
     
    Top
    .
  3. Silm@rien
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Sì,Folletto! Sei bravo anche perchè mi pare di capire che c'è anche un po' della tua storia dentro.
     
    Top
    .
  4. MorganeLaFée
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (KingForEver @ 3/6/2012, 08:02) 
    Caro Folletto,anch'io l'ho letto a suo tempo,ma lo diede la FataMorgana! Non denigrarlo così,è un'opera "giovanile",ma è molto toccante,proprio per quello! Continua a postare perfavore.

    lo ricordo!
     
    Top
    .
  5. DaniMZBradley
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    L'ho letto anch'io e lo ricordo con piacere. Rimasi colpita dalla storia che rivela molto del suo autore. Ci hai messo il cuore dentro, vogliamo leggere anche il resto.
     
    Top
    .
  6. luigiilfollettodeiboschi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Altri 7 capitoli

    6
    Il primo giorno

    Mi svegliai mal volentieri. Feci le mie cose e fui già subito pronto. Non volevo dare una brutta impressione di me fin dal mio primo giorno da siciliano.
    <<marco, non fai colazione con noi?>>, disse mia zia visibilmente assonnata.
    <<no grazie, non faccio mai colazione, è una mia abitudine.>>
    <<dai siediti con noi. Saltare la colazione non è mai la cosa giusta. Oggi poi fa freddo, ti ricordo che siamo a dicembre.>>
    Mi lasciai convincere. Mangiai una brioche e bevvi una tazza di latte fumante. Subito dopo uscimmo di casa e la zia mi accompagnò presso la mia nuova scuola. Con mio stupore mi accorsi che distava solo un paio d’isolati da quella casa. Era esteticamente carina, e sem-brava anche ben attrezzata.
    La giornata passò relativamente tranquilla nonostante avessi gli occhi di tutti puntati su di me. Gli altri studenti non mi rivolsero mai la parola e i professori mi guardavano in modo ostile. Avevo paura che sapessero il reale motivo del perché io fossi lì. Mi avvicinai alla professoressa Ferrari per parlare con lei.
    <<professoressa, mi scusi, vorrei chiederle se potrebbe darmi il programma delle lezioni passate.>>
    <<certo, dovrei avere una copia nella mia borsa.>>
    Rovistò nella sua borsa e mi dette un foglietto di carta con il pro-gramma e il libro su cui studiare.
    <<professoressa, lei sa quello che ho fatto nella mia scuola prece-dente?>>
    <<si, lo so. Devo ammettere che sono rimasta abbastanza sciocca-ta. Come ti è venuto in mente di rompere un braccio ad un tuo com-pagno di classe?>>, chiese lei con tono severo.
    Ecco, un’altra bugia. Certo è che la fantasia arriva ovunque. Ci mancava solo che dicessero che avevo fondato una setta satanica e avremmo completato il teatrino delle menzogne. Cominciai a ridere.
    <<mi scusi professoressa se rido, ma tutti si sono inventati falsità su di me, non credo di meritarmelo. Se vuole saperlo, l’unica colpa che ho è che stavo per ricevere un bacio e sono stato beccato. Il bello è che non l’ho nemmeno ricevuto.>>
    Me ne andai lasciando la professoressa a bocca aperta, anche se avevo omesso un piccolo particolare, il bacio sarebbe stato con un uomo. In fondo è solo un dettaglio!
    Dopo esser tornato a casa (mi sembra strano definirla già casa) e aver pranzato con un semplice piatto di pasta al pomodoro, mi tocca-va andare dallo psicologo (che tra l’altro non sapeva il vero motivo per il quale io ero stato spedito in Sicilia). Dovevo essere sincero con lui o mentirgli?
    La zia m’indicò il tragitto che avrei dovuto fare. Nonostante il freddo, avevo una gran voglia di stare all’aria aperta. Arrivai in anti-cipo all’appuntamento. Una ragazza alle 15.00 in punto mi disse che sarei potuto entrare nell’ufficio. Quando entrai, mi ritrovai davanti ad un uomo bellissimo, sulla trentina, moro, barbetta delineata e sexy, occhi penetranti tanto da aver paura di incrociarli. Sembrava un fo-tomodello. Ero talmente turbato dalla sua bellezza che non riuscivo a dire nulla.
    <<salve dottor Zamboni, mi scuso se le sto facendo perder tempo e denaro.>>
    <<non ti preoccupare Marco, è un piacere. Accomodati e comincia a raccontarmi cosa è successo.>>
    Ecco, ero spiazzato. Che cosa avrei dovuto dirgli? Dovevo essere sincero?
    <<dottore, voglio essere sincero con lei. Se le dico la verità, la cosa rimane tra noi? Lei non dice nulla a mia zia, okay?>>
    <<certo, non ti preoccupare.>>
    Mi fidai.
    <<la verità è che non sono stato cacciato da scuola perché l'ho al-lagata. La scuola è in perfette condizioni, non ho allagato nulla.>>
    <<allora cosa hai fatto?>>, chiese lui incuriosito.
    <<mi stavo baciando con un ragazzo nel bagno della scuola, anzi nemmeno l’ho baciato, è stata punita l’intenzione. Ed eccomi qui, ri-fiutato dalla mia famiglia>>, dissi cercando di sembrare il più pateti-co possibile.
    Il dottore era abbastanza sconvolto. Pensai che probabilmente fa-cesse questo lavoro da poco e che quindi di queste storie ne avesse sentite poche.
    <<ti va di raccontarmi cosa hai provato in tutto questo perio-do?>>
    <<mi sono sentito solo. Sono stato abbandonato da tutti, non rie-sco ancora a capire il perché. La mia famiglia mi odia, mio padre dice che faccio schifo, i miei amici mi hanno voltato le spalle. Che razza di mondo è mai questo? Che cosa ho fatto di male? Ho passato tanti anni della mia vita chiedendomelo, piangendo sotto le coperte, ma a quanto pare non è servito a nulla. Vivo in una nazione ipocrita e razzista. Non ho paura di dirlo e ribadirlo. Una sola cosa però conti-nuo a domandarmi: Perché io? Perché proprio me? Non ho mai fatto del male a nessuno, non ho mai ucciso nessuno, non ho mai rubato nulla, allora perché proprio io? Gli assassini quando escono dal car-cere dopo aver scontato la loro pena, ricominciano da zero. Io invece sarò marchiato a vita come omosessuale. La mia unica colpa è di poter amare un giorno, una persona del mio stesso sesso. A volte mi chiedo se esiste davvero una giustizia. Dicono che la legge è uguale per tutti. Assolutamente no. Questo vale sia per la vita di tutti i giorni, che per la giustizia in tribunale. Se rubi un’auto, ti danno almeno un anno di carcere. Se uccidi qualcuno, ti daranno trent’anni, sicuramente poi saranno ridotti a quindici, poi a dieci, poi a cinque, diranno che sei malato di mente e alla fine in carcere non ci vai più. Intanto, alcune famiglie piangono i loro cari. La vita è così, piena d’ingiustizie. A volte mi chiedo: Che senso ha esser nati, se poi devo fare una vita di merda come questa?>>
    Piangevo. Ero diventato un fiume in piena e piangevo, senza neanche sapere il perché. Avevo abbandonato i vari freni che mi ero imposto e raccontai tutto quello che avevo dentro, senza timore, sen-za aver paura di essere giudicato, l’avevano già fatto in tanti. Non mi accorsi che il dottor Zamboni era piuttosto provato dal mio discorso e dal mio pianto. Lui si alzò dal suo posto e si girò dall’altra parte, per non mostrare segni di debolezza. Si riempì un bicchiere d’acqua, si passò una mano sul volto e poi ritornò al suo posto.
    <<senti Marco, prendi questo diario. Voglio che ogni giorno ci scrivi tutto quello che ti passa per la mente. Voglio che scrivi le tue emozioni, i tuoi dubbi, le tue malinconie, le tue speranze, i tuoi sogni. Metti tutto te stesso in questo diario, non tralasciare nulla. Ogni piccola parte di te è importante.>>
    <<okay>>, dissi sottovoce.
    <<marco, ora parlami della tua famiglia e del tuo rapporto con lo-ro.>>
    <<non penso ci sia molto da dire. Mia sorella giudica sempre gli altri ma poi rimette tutto quello che mangia, in segreto. Mia madre è una paranoica urlatrice, la cosa che sa fare meglio è impicciarsi dei fatti altrui. Mio padre invece è un razzista, crede che il mondo giri intorno a lui. Una famiglia che odio, venire qui è stata una fortuna.>>
    Non mi accorsi che era passato molto tempo. All’improvviso, il dottor Zamboni mi guardò e mi chiese una cosa in un modo talmente diretto, che restai stupito.
    <<marco, sei attratto da me?>>
    Rimasi paralizzato e, ne sono certo, ero divenuto rosso in viso per l’imbarazzo. In effetti, era un gran figo, chi poteva negarlo, però non sapevo cosa avrei dovuto dire. Avrei dovuto mentire o essere sincero? Quei secondi sembrarono interminabili.
    <<beh dottore, sarei un’ipocrita se non le dicessi che quando l’ho vista per la prima volta ho avuto un sussulto per quanto riguarda la sua bellezza e il suo sguardo penetrante, ma questo lei lo sa già e non le serve di certo una mia conferma.>>
    <<marco, non hai risposto alla mia domanda. Ti attraggo?>>
    Era uno stupido trucchetto psicologico. Ma perché farmi certe domande? Perché mettermi ulteriormente in difficoltà?
    <<dottore, sono qui per dirle la verità, quindi non ho paura, né timore nel dirle che lei mi attrae sia fisicamente che mentalmente, ma questo comunque non vuol dire nulla>>, risposi maliziosamente.
    <<okay, grazie per la sincerità. Per oggi abbiamo finito, ci rive-diamo lunedì alla stessa ora.>>
    Mi alzai, salutai il dottore e mi avviai verso la porta, quando im-provvisamente mi venne in mente una curiosità che volevo togliermi.
    <<dottore, mi scusi la domanda. Qual è il suo nome?>>
    <<mi chiamo Andrea, ma sin da piccolo tutti mi chiamano Na-than.>>
    Pensai tra me che Nathan fosse davvero un bellissimo nome.
    Venti minuti dopo rientrai a casa, e c’era solo la zia Marisa. Letizia e Amedeo erano usciti.
    <<ciao zia.>>
    <<ciao Marco, siediti qui, parliamo un po’. Com’è andata con il dottore?>>
    <<tutto okay, grazie. Senti zia, ho alcune curiosità che vorrei to-gliermi.>>
    <<dimmi pure.>>
    <<mio padre mi ha detto che in passato ti ha fatto un grande favo-re. Quale?>>
    <<davvero ti ha detto cosi?>>, replicò lei scocciata.
    <<si.>>
    <<va bene, ti racconterò tutto, tu però non dire a nessuno quello che sto per dirti, neanche a Letizia ed Amedeo. Okay?>>
    <<okay.>>
    <<circa dieci anni fa ero in una situazione economica precaria, mi servivano soldi, molti soldi, feci un prestito da un certo signore. Que-sto signore era un usuraio, mi chiedeva sempre più soldi di quelli che mi aveva dato. Non sapevo come fare e allora chiesi aiuto a tuo pa-dre. Non so come fece, ma quell’uomo non lo vidi mai più.>>
    Mio padre sembrava un mafioso. È sempre stato un tipo enigmati-co, non si è mai capito quello che pensava, né tantomeno dove anda-va. Che famiglia strana mi era capitata. Chissà che metodi aveva uti-lizzato per far sparire dalla circolazione quell’usuraio.
    <<mi ha anche detto che tu hai fatto in passato un favore al dottor Zamboni.>>
    <<sì, è vero. Sono io che ho fatto in modo da combinare un ap-puntamento tra lui e la mia amica Angelica. Lui mi chiedeva sempre di lei, diceva che le piaceva un casino, ma non aveva il coraggio di farsi avanti e così li ho fatti incontrare>>, annuì lei con tono solenne.
    <<e ora, stanno ancora insieme?>>, chiesi incuriosito.
    <<sono sposati e Angelica aspetta un bambino.>>
    Non ero sorpreso. Anzi, continuavo a ripensare alla domanda di qualche minuto prima. Perché mi aveva fatto quella domanda? Boh, chi lo sa.
    <<senti zia, non ho ancora capito che lavoro fai>>, chiesi distrat-tamente.
    <<lavoro in un negozio di elettrodomestici. Lo gestisco io, ma lì ci lavora anche Letizia. Se poi vorrai guadagnarti qualche soldino, provvederò a farti lavorare, ma solo in estate perché ora ti devi impe-gnare solo nello studio. Anzi, se devo essere sincera, credo che do-vresti dimagrire un po’. Non è bene per un ragazzo come te essere obeso, sia per quanto riguarda la salute, sia per quanto riguarda l’amore. Devi avere più cura di te stesso se vuoi trovare una bella ra-gazza. Pensavo che da quando il tempo sarà bello, in primavera, po-tresti cominciare a fare ginnastica. Qui c’è il mare, la spiaggia, il par-co. Puoi andare dove vuoi a fare questo. Oppure se vuoi puoi iscri-verti ad una palestra, c’è ne una a tre isolati da qui.>>
    Ripensavo alle parole di mia zia e sorridevo: <<non avrei mai vo-luto avere una ragazza, nemmeno morto!>>
    <<zia, perché tuo padre è costretto a stare su una sedia a rotel-le?>>
    Mi accorsi solo dopo che forse la domanda era stata inopportuna.
    <<dieci anni fa fu investito da un’auto mentre attraversava la strada. Da quel momento è cambiato. Tutto è cambiato. Lui è sempre stato un tipo sportivo, vitale, solare. Vederlo ridotto così, sempre tri-ste, mi si spezza il cuore. Mi fa ancora più rabbia sapere che il colpe-vole si è fatto solo tre mesi di carcere e ora è libero. Spesso mi capita di vederlo in giro, e per me quella è un’altra ferita.>>
    <<mi dispiace zia.>> dissi io imbarazzato da quella risposta.
    <<non ti preoccupare. Senti, ho noleggiato un film dalla videote-ca, noi lo vedremo stasera, se vuoi, puoi vederlo insieme a noi.>>
    <<certo, di che film si tratta?>>, chiesi incuriosito.
    <<le fate ignoranti>>, replicò lei mentre controllava i messaggi sul cellulare.
    Quello era il mio film preferito. L’avevo già visto un sacco di vol-te, ma l’avrei rivisto volentieri. E poi adoravo il regista Ferzan Ozpe-tek. Uno dei miei sogni, un giorno, è di riuscire ad avere una parte in un suo film.
    <<certo zia. Scusami ora, ma vado a fare i compiti.>>
    Non era vero. Mi chiusi nella mia stanza e cominciai a pensare. Dovevo ancora abituarmi a quella nuova situazione, era solo il primo giorno. Seguii il consiglio di Nathan (lo so che dovrei dargli del “voi”, ma a me piace usare il “tu” con tutti) e cominciai a scrivere sul diario che lui mi aveva dato.
    A cena, la zia mi stupì.
    <<caro Marco, se vuoi dimagrire, dovrai soffrire>>, sghignazzò lei.
    Per me c’era solo un’insalata, mentre per loro tre una bella bistecca alla fiorentina. Annoiato addentai la mia leggera insalata.
    Dopo aver cenato, il film fu inserito nel lettore dvd. Non mi ac-corsi che sulle mie ginocchia venne ad appoggiarsi un gatto in cerca di coccole.
    <<zia, non sapevo che avessi un gatto, non l’avevo ancora vi-sto.>>
    <<sì, è vero. Lei è Speranza.>>
    Che bel nome. Un nome ma anche un augurio. La zia aveva dato a quel gatto un nome pieno di significato. E poi lei era così tenera e dolce con quel suo musetto nero e le sue chiazze color arancione sparse sul corpo. Guardavo il film, ma continuavo a fargli carezze, lei sembrava gradire.
    Il film terminò e piacque davvero a tutti, o quasi, anche perché nonno Amedeo (mi abituai a chiamarlo così) dormiva già da un’ora almeno. Lui amava solo i film d’azione e di guerra.
    Andai a letto, e fui seguito da Speranza nella mia stanza. La acca-rezzai per un po’ e poi mi lasciai coccolare dalle coperte di lana. Da allora in poi io e lei avremmo sempre dormito insieme.

    7
    Daniela

    I giorni passarono inesorabili e quella nuova realtà per me stava diventando finalmente una normalità. A scuola, dopo l’imbarazzo dei primi giorni, cominciai finalmente a socializzare con i nuovi compagni di classe, in particolare con un ragazzo di nome Davide. Continuavo ad andare dallo psicologo, anche se ero convinto che in realtà non ne avessi alcun bisogno. Il Natale fu abbastanza deprimente perché eravamo solo noi quattro. L’unica cosa buona di quel giorno era che potevo mangiare quel che volevo e non la solita insalata per cena.
    Sin da marzo il sole splendeva forte a Cefalù e allora decisi di se-guire il consiglio della zia, cominciai a darmi da fare per dimagrire. Mi piaceva in particolare correre lungo la spiaggia e poi fermarmi lì e ammirare l’arrivo del tramonto. Che bello, potevo farmi un bel tuffo già in primavera. Fu proprio durante una delle mie corse pomeridiane che incontrai Daniela, una trentenne dall’animo di ragazzina. L’incrociavo tutti i giorni, ma non le rivolsi mai la parola. Un pome-riggio però, mentre osservavo il calar del tramonto, lei si sedette al mio fianco.
    <<ciao, posso sedermi qui affianco a te?>>, chiese lei gentilmen-te.
    <<certo>>, risposi io con altrettanta gentilezza.
    <<grazie, piacere sono Daniela.>>
    <<io sono Marco.>>
    <<tu non sei di qui vero?>>, chiese lei teneramente.
    <<no, sono pugliese. Sono qui con mia zia.>>
    <<in vacanza?>>
    <<no, rimango qui per un po’.>>
    <<sai lavoro in una gelateria sulla spiaggia. Se passi a trovarmi qualche mattina, ti offro un gelato.>>
    <<certo, perché no>>, risposi entusiasta.
    <<scusami ora, ma devo proprio andare. Ciao, a presto.>>
    <<a presto.>>
    Mi era molto simpatica Daniela. Era così allegra e sorridente da essere contagiosa. E poi m’ispirava fiducia. Decisi di accettare il suo consiglio, il mattino dopo feci festa a scuola e andai in giro, cammi-nando sulla spiaggia in cerca del bar dove lei lavorava. Finalmente dopo un’ora la trovai, ma feci finta di non averla vista. Lei, quando mi vide, cominciò ad urlare il mio nome a squarciagola, tanto da farmi arrossire dall’imbarazzo.
    <<ciao Marco! Vieni che ti offro un bel gelato!>>
    Mi avvicinai. La salutai cercando di essere anch’io caloroso nel saluto, ma la cosa mi riuscì abbastanza male.
    <<che gusto vuoi?>>
    <<amarena, zuppa inglese e panna.>>
    Mi preparò il gelato mentre continuavo a essere affascinato dalla sua continua allegria e spensieratezza.
    <<daniela, ma come fai ad essere sempre così allegra e gioiosa? Io non ci riesco.>>
    <<caro Marco, la vita è bella. Poi è solo una. Perché dovrei spre-carla tenendo il broncio e pensando solo in maniera negativa? Non avrebbe senso!>>
    Continuavo ad essere estasiato da quella donna che nell’animo era molto più giovane di me. Avevo trovato un’amica e ne ero contento.
    <<daniela, parlami un po’ di te. Sei sposata, fidanzata, hai fi-gli?>>
    Mi accorsi che forse stavo correndo troppo, non potevo fargli certe domande, la conoscevo da così poco tempo. Lei però capì quello che stavo pensando.
    <<non ti preoccupare, non sei stato inopportuno. Comunque no, non sono sposata e non ho figli.>>
    <<È una tua scelta?>>
    <<no, direi di no. La verità è che sia i ragazzi che le ragazze s’innamorano solo delle persone con dei caratteri particolari. Io forse sono troppo semplice>>, rispose lei malinconicamente.
    Stavo riflettendo su quest’affermazione di Daniela. Allora io che sono un tipo complicato, perché non mi vuole nessuno?
    Rimasi a chiacchierare con Dani (oramai mi ero abituato a chia-marla così) ancora un po’, ma poi mi accorsi che si era fatto tardi e che quindi sarei dovuto rientrare a casa.
    <<ciao Dani, io vado. Mia zia non sa che sono qui, è convinta che io stia a scuola.>>
    <<furbetto! Non bigiare più la scuola, è importante che tu ti faccia una cultura>>, replicò lei sorridendo.
    <<va bene Dani, non lo farò più. Ciao, ci vediamo presto!>>
    <<ci conto!>>
    Finalmente credevo di aver trovato una vera amica, anche se non coetanea. Tornai a casa con il sorriso sulle labbra, forse il mio primo sorriso da quando ero arrivato a Cefalù.

    8
    Ma che stai facendo zia?

    I giorni passarono in fretta, il caldo aumentava ed io andavo ogni giorno a correre, e posso finalmente dire con orgoglio che cominciavo a vedere i risultati. Persi qualche chilo. Convinsi anche il mio unico amico Davide ad unirsi a me. Lui era un fan accanito dell’hip hop e del basket, vestiva sempre come loro, con quegli abiti larghi e stra-vaganti. Facemmo un patto. Lui sarebbe venuto a correre con me se io fossi andato a giocare a basket con lui. Beh, nel basket ero davvero un disastro (come del resto in tutti gli altri sport, escluso il ping pong), ma cominciavo ad essere più simpatico, più auto-ironico. Gli amici di Davide con cui giocavo a Basket mi presero in simpatia, no-nostante non abbia mai capito il perché. Forse perché ero me stesso al 100% e non una brutta copia di qualcuno o qualcosa già visto. Forse perché ero buffo e scarso.
    I miei amici del basket li sintetizzavo in 3D. Non perché erano in tre dimensioni, ma perché i loro nomi cominciavano per D: Davide, Dario e Donato. Erano tipi strani, eccentrici, forse proprio per quello andavamo così d’accordo.
    Nonostante fossero passati quasi cinque mesi dalla prima volta, continuai ad andare dal dottor Nathan (Zamboni). Con lui i rapporti erano molto buoni, ma c’era quel qualcosa d’invisibile che ci separava dall’essere in sintonia, non so dirvi bene il perché, ma percepivo questo. Un pomeriggio dovevo andare all’appuntamento dal dottor Nathan, ma la sua segretaria mi disse che aveva avuto un impegno improvviso. Ritornai a casa in anticipo rispetto al solito, e quando en-trai in casa vidi in corridoio zia Marisa e la sua “amica” Letizia ba-ciarsi. La scena fu alquanto surreale. Quando mi videro, rimasero pa-ralizzate, non sapevano che dire e cercarono di ragionare su quello che mi avrebbero dovuto, ma io anticipai i tempi.
    <<non vi preoccupate, non sono scandalizzato. È giusto mettere le carte in tavola: Sono gay ed il motivo per cui sono qui, non è perché ho allagato la scuola o perché ho rotto il braccio a un compagno di classe. Semplicemente stavo per baciarmi un mio amico, nel bagno della scuola.>>
    <<lo sapevamo>>, disse nonno Amedeo, entrando nella stanza. Era tutto alquanto surreale. Sembrava quasi la scena di un crimine, come quando il detective entra di soppiatto nella stanza per svelare chi è l’assassino.
    <<ecco, lo sapevo. Qualcuno ha fatto la spia, sicuramente è stato Nathan. L’avrei dovuto sapere che non mi sarei dovuto fidare di lui. Per fortuna che bisogna rispettare il segreto professionale!>>, dissi rabbioso.
    <<lui non ci ha detto nulla. Abbiamo trovato per sbaglio il tuo diario e l’abbiamo aperto.>>
    <<per sbaglio? Lo ho sempre riposto dentro un cassetto. Voi siete andati a frugare tra le mie cose. Non è giusto! Questa è violazione della privacy.>>
    Me ne andai via correndo, stizzito, lasciandomi alle spalle quella casa. Mi rifugiai nella mia adorata spiaggia. Pensavo e ripensavo. Mi stupivo di me stesso. Come potevo chiamarli “zia Marisa” e “nonno Amedeo” se in realtà nemmeno li conoscevo. Erano quasi estranei per me. Poi cominciai a ragionare su tutto il resto, cercando di essere il più logico possibile. Vivevo in una famiglia di omosessuali. Ci mancava solo che nonno Amedeo fosse bisessuale e avevamo com-pletato il circo. Come si dice in questi casi, ridiamo per non piangere. Rimasi lì sulla spiaggia ore e ore, osservavo i pochi bambini che gio-cavano tuffandosi in acqua. Sentivo in lontananza alcune persone che chiamavano i loro figli.
    <<luigino, non andare troppo lontano che è pericoloso.>>
    <<maria attenta alle meduse.>>
    Sentivo quei richiami e pensavo alla mia vita. Chissà se anch’io da piccolo ero trattato così dai miei genitori. Avevo i miei dubbi. Decisi, dovevo pensare di meno e agire di più. Mi spogliai quasi com-pletamente e decisi di andare a farmi un bel tuffo in acqua. Non l’avevo ancora fatto quell’anno. L’acqua era tiepida, nonostante fosse ormai sera. Che bello, mi sentivo rilassato, senza problemi, sembrava come se tutto quello che stava succedendo non riguardasse me, ma qualcun altro. Dopo essermi rimesso i vestiti, decisi di tornare a casa. In fondo non potevo farci nulla. Avrei dovuto vivere in quella casa per almeno un altro anno. Inserii la chiave nella fessura ed aprii la porta. Entrai velocemente, quando la zia mi chiamò.
    <<marco, se vuoi, stasera puoi fare un’eccezione per la cena. Ti faccio una bella bistecca? Oppure un panino? Decidi tu.>> disse lei visibilmente pentita.
    <<non ho fame.>>
    Il tentativo di mia zia di riconciliarsi con me l’avevo respinto. Non sarebbe di certo bastata una bistecca a farmi dimenticare tutto. Stavo chiuso nella mia stanza e non m’interessava né cenare, né parlare con nessuno. Sono sempre stato un tipo che non riesce a dimenticare, quindi probabilmente ci sarebbe voluto del tempo per mettere a posto quella situazione.
    Era tardi, stavo per andare a letto, quando nella mia stanza entrò Letizia, la ragazza di zia Marisa.
    <<sei ancora arrabbiato?>>, chiese lei.
    <<certo, non dovrei?>>
    <<dai, è successo per caso, e comunque non dovresti comportarti così.>>
    <<in che senso?>>
    <<comunque sei sotto la nostra tutela, vivi sotto il nostro tetto, almeno un po’ di riconoscenza potresti averla.>>
    <<che centra? Questo non significa che dovete metter mani nelle mie cose!>>
    <<già, hai ragione. Dai, però capita!>>
    <<no, non capita.>>
    <<senti, so che il metodo è un po’ strano per farti far pace con noi, in particolare con Marisa, ma ecco, ti ho fatto un regalo>>, rispose lei sfoggiando un sorriso enorme.
    Letizia tirò fuori un nuovo cellulare, di quelli con mille optional e servizi.
    <<ti sarà costato un occhio della testa! Non posso accertare.>>
    <<si invece. Non ti preoccupare per il prezzo, l’importante è che fai pace con tutti e che non racconti nulla di questo regalo a tua zia.>>
    <<okay, grazie, non so che dire.>>
    <<non dire nulla. Accetta e basta. Però, non farci l’abitudine.>>
    <<grazie.>>
    Letizia uscì dalla stanza ed io rimasi a guardare stupefatto quel bellissimo cellulare. Di certo fu un bellissimo gesto, anche se, lei, la-vorando in un negozio di elettrodomestici ed elettronica poteva sicu-ramente permetterselo. Mi addormentai contento con Speranza, che già dormiva da un pezzo sul mio letto.

    9
    La cotta di Davide

    Il tempo trascorreva, l’estate era alle porte ed io ero quasi riuscito nell’intento di far sparire tutta la pancia che avevo. Mi mancavano ancora un paio di chili e sarei stato finalmente felice del mio corpo, anche se a volte dentro di me mi sentivo ancora un cesso di prima ca-tegoria. Passavo molto tempo insieme ai miei amici amanti del basket e della mia amica gelataia. In fondo tutto sembrava filare liscio, cosa potevo pretendere di più? La mia vera famiglia non si degnava neanche di fare una telefonata per chiedere come stessi. Nulla, si era-no già dimenticati di me o forse non ero mai stato effettivamente un membro di quella famiglia. Di certo, non mi preoccupavo per loro. Stavo bene in Sicilia, avevo il mare, gli amici, il verde. Che cosa po-tevo chiedere di più? Avevo anche un bel cellulare ultratecnologico dal quale non mi separavo mai. Almeno così credevo.

    Un pomeriggio di fine maggio, Davide ed io stavamo correndo lungo la spiaggia e ci fermammo proprio dinanzi alla gelateria di Da-niela. Presentai Daniela al mio eccentrico amico e restammo lì a chiacchierare un po’. L’immensa gentilezza di Daniela si fece chiara quando lei ci offrì il gelato.
    <<marco, per te amarena, zuppa inglese e panna, vero?>>, disse lei sfoggiando il suo enorme sorriso.
    <<giusto Dani!>>
    <<invece te, Davide, che gusto ti piace?>>
    <<a me piace molto il pistacchio.>>
    <<pistacchio allora!>>
    Dani mi stupiva sempre più, era sempre così sorridente e ironica, forse lo era troppo! Non volevo che in seguito si rivelasse una di quelle persone dal passato burrascoso che camuffavano la loro infeli-cità con l’apparenza.
    Non ce ne accorgemmo, ma il tempo trascorse velocemente. Quando si parlava con Dani il tempo volava via come fosse un pal-loncino sospinto dal vento. Davide ed io decidemmo di tornare alle rispettive abitazioni. Durante il tragitto, lui mi rivelò una cosa.
    <<mi piace molto la tua amica Daniela!>>, disse lui sorridendo.
    <<si lo so, è una gran brava persona.>>
    <<non intendevo in quel senso…>>
    Capii solo dopo il senso delle sue parole.
    <<no, non ci credo! Non so che dirti, ti ricordo che lei ha almeno dieci anni più di te!>>, esclamai sbalordito.
    <<l’amore non ha età, questo devi ancora impararlo!>>
    <<mi sembra troppo presto per dirlo, la conosci da pochi minuti e già tiri queste conclusioni!>>, replicai stizzito.
    <<beh, perché non provarci!?>>
    <<boh, forse hai ragione.>>
    <<certo che ho ragione! Tu che la conosci bene, mi dai qualche consiglio per conquistarla?>>
    <<non so, fammi pensare. Di lei so che adora il tiramisù, le gite all’aperto, i criceti e le margherite. Poi fa collezione di francobolli e adora Jake Gyllenhaal.>>
    <<e chi è?>>
    Gli stavo per dire che era quel bonazzo del film “Donnie Darko”, ma non volevo ancora svelargli il mio segreto.
    <<un attore, mi sembra, fai una ricerca su internet.>>
    <<okay, grazie amico. Ti terrò informato sul mio corteggiamen-to!>>
    Non so perché, ma attorno a quella situazione sentivo puzza di bruciato. Qualcosa sarebbe andato storto. Guardai Davide un ultimo istante nei suoi occhi profondamente neri ed espressivi, e poi lo salu-tai.
    Quando tornai a casa, mi accorsi di non avere più il mio splendido cellulare. Tornai di corsa alla gelateria e chiesi a Dani se per caso l’aveva visto. Ero entrato nel panico. Le feci comporre il mio numero e all’improvviso il cellulare cominciò a squillare. Seguii il suono che proveniva dalla tasca di un uomo seduto sulla spiaggia. Non dissi nulla. Mi ripresi il mio cellulare con forza, ma quel tizio mi mollò un ceffone e poi scappò via. Ero allibito. Vedi certa gente che c’è in giro. Mi stavo chiedendo come quell’uomo fosse riuscito a sottrarmi il cellulare. Boh! Salutai nuovamente Dani e tornai a casa.

    10
    Propositi di festa

    Finalmente la scuola era finita. Il 19 giugno Davide ed io andam-mo a vedere se fossimo stati promossi al quinto anno.
    <<evviva! Siamo stati promossi!>>, esclamò lui.
    <<già, me lo aspettavo. Beh raccontami, come va il tuo corteg-giamento a Daniela?>>
    <<cosa vuoi che ti dica amico mio! Ci sto provando. La vado spesso a trovare, le ho regalato delle margherite, le ho detto che fac-cio collezione di francobolli e che adoro i criceti. Le ho persino detto che il mio attore preferito è Jake Gyllenhaal.>>
    <<e lei che ha detto?>> chiesi incuriosito.
    <<mi ha detto che anche lei adora Jake Gyllenhaal, che è un bel-lissimo ragazzo e poi mi ha chiesto se per caso ero omosessuale!>>
    Stavo per mettermi a ridere, però sapevo che il mio amico Davide ci era rimasto un po’ male. Cercai di trattenermi.
    <<dai, non ti abbattere. Vedrai che alla fine cederà!>>, dissi fin-tamente ottimista.
    <<okay, io non mi arrendo!>>
    Passammo quel pomeriggio giocando a basket. Eravamo io e i 3D. Come al solito ero una schiappa, ma lo scopo era divertirsi, non vin-cere. Anzi ci divertivamo molto di più nel vedere quanto fossi inca-pace!
    Tornato a casa, decidemmo di vedere un classico del cinema, “Ti-tanic”!
    Era davvero un bel film, l’avevo già visto, ma mi faceva un po’ strano vedere zia Marisa e Letizia piangere come due bambine, da-vanti alla morte di Leonardo Di Caprio. Nonno Amedeo le osservava e rideva. Ed io osservando lui, ridevo anch’io! Ci mancava solo che si mettesse a ridere Speranza che nel frattempo si era addormentata sulle mie ginocchia. Quando il film terminò, Speranza ed io andammo a dormire e non me ne accorsi, ma cominciai a piangere sotto le lenzuola. Sapevo perché stavo piangendo. Mancavano due giorni al mio diciottesimo compleanno e non l’avrei festeggiato. Mamma mia che schifo! Che tristezza!
    Zia Marisa entrò proprio in quell’istante nella mia stanza, e sen-tendomi piangere s’incuriosì.
    <<È successo qualcosa Marco?>>
    <<no, tutto okay>>, dissi sottovoce.
    <<perché piangi allora?>>
    Non sapendo che dire, alla fine le dissi la mia verità.
    <<zia, dopodomani compio diciotto anni e non li festeggerò.>>
    <<e perché non dovresti festeggiarli? Dai, organizziamo subito una bella festa! Invita tutte le persone che vuoi! Vedrai, ci divertire-mo!>>, esclamò lei piena di allegria.
    <<grazie zia!>>, dissi visibilmente commosso.
    <<preparerò un bel pranzo di compleanno, vedrai! E poi, diventi maggiorenne, bisogna festeggiarlo per forza!>>
    Andai finalmente a letto felice. Avrei avuto una festa tutta per me! E potevo invitare chi volevo!
    Il mattino dopo mi svegliai raggiante e accorsi ad invitare tutti i miei amici.
    Invitai Davide, Dario e Donato. Poi invitai Nathan con la moglie Angelica e naturalmente invitai anche Daniela che fece i salti di gioia quando le riferii la notizia.
    <<verrò senz’altro!>>
    Bene, avevo invitato tutte le persone a cui tenevo di più, almeno qui a Cefalù. A Santeramo, il mio paese in Puglia, avevo poche per-sone a cui tenevo veramente, di certo queste non erano i membri della mia famiglia. Molto probabilmente non mi avrebbero fatto nemmeno una telefonata di auguri. Dai miei calcoli, dovevamo essere dieci persone, sei uomini e quattro donne. Mi sbagliavo.

    11
    Compleanno con sorpresa

    Era finalmente arrivato il giorno. La zia si alzò molto presto per cominciare a preparare le pietanze da servire per la festa. Quando mi svegliai andai subito in cucina. C’erano molte pietanze, tante da poter sfamare un esercito intero.
    <<auguri!>>, disse mia zia mentre mi abbracciava.
    <<grazie zia. Non avrai esagerato con tutto questo cibo? Saremo in dieci, mica in cento!>>
    <<non ti preoccupare, se avanzerà qualcosa, la consumeremo nei prossimi giorni.>>
    <<o forse potremmo sfamare tutti i militari della Sicilia>>, dissi ironico.
    Gli ospiti cominciarono ad arrivare poco a poco. I primi ad arrivare furono Davide, Dario e Donato. Mi fecero un regalo bellissimo che custodisco gelosamente ancora oggi. Era un quadro, che per poco non era più grande di me, e raffigurava noi quattro. C’era una nostra foto di noi quattro sorridenti su un campetto da basket, e poi in basso a destra la scritta “Amici per sempre”. Per poco non scoppiai in lacrime per quel gesto tanto clamoroso quanto sincero. Lo appesi subito nella mia stanza, e dovetti ammettere che quel quadro faceva davvero una gran bella figura. La mia stanza non era più anonima come prima.
    Poi venne la mia amica Daniela, che mi lasciò davvero con il fiato sospeso.
    <<dani, ma sei impazzita! E troppo per me! Chissà quanto avrai speso! No, non posso, riportalo indietro!>>
    <<dai, non è nulla di eccezionale, è solo uno scooter e poi non è nuovo, è usato, anche se perfettamente funzionante.>>
    <<non so che dirti Dani.>>
    <<non dire nulla, accetta i miei auguri e il mio regalo. Anzi met-tiamoci a tavola perché io ho davvero una gran fame!>>
    Dani non avrebbe mai smesso di stupirmi, ne ero certo. Intanto, Davide continuava a guardarla. Era proprio cotto!
    Qualche minuto dopo, arrivò anche Nathan insieme alla moglie Angelica col suo pancione all’ottavo mese di gravidanza. Il loro re-galo fu un bell’orologio di una marca prestigiosa. Continuavo a os-servare Angelica, mi sembrava una brava ragazza, anche se non la conoscevo.
    Invece la zia Marisa, Letizia e Amedeo mi regalarono quello che forse volevo di più: Soldi. 300 euro che mi avrebbero sicuramente fatto comodo.
    Bene, c’eravamo tutti, io di certo non potevo sperare di essere più felice. Ci sedemmo tutti a tavola mentre la zia stava già cominciando a servire le sue gustosissime lasagne, quando suonarono alla porta.
    <<chi sarà mai?>>, chiesi incuriosito.
    <<boh, non aspettiamo nessun altro>>, replicò mia zia.
    Andai ad aprire la porta e rimasi sbalordito. Era proprio lui, non ci potevo credere.
    <<tanti auguri amico mio!>>
    <<marcello, ma che ci fai qui?>>
    <<non potevo di certo perdermi il tuo diciottesimo complean-no!>>
    <<come hai fatto a saperlo? E come sapevi che ero qui?>>, repli-cai felicemente scioccato.
    <<ho fatto un po’ di ricerche. Beh, non mi fai entrare?>>
    <<ah già, scusa. Scusami, ma sono sorpreso!>>
    <<tieni. Questo è il mio regalo.>>
    <<non dovevi. La tua presenza qui è il regalo più bello!>>
    Presentai il mio amico Marcello a tutti gli altri. Scartai subito il suo regalo. Era un bellissimo portafogli, ma ero contentissimo per la sua presenza, non per il regalo. Andammo tutti a tavola e naturalmente Marcello sedeva alla mia destra, mentre alla mia sinistra sedeva Angelica, la moglie di Nathan. Era una ragazza molto simpatica, con una parlantina siciliana molto spiccata che accentuava ancora di più la sua solarità. Talmente solare da voler dare al proprio figlio il nome Luigi, come il santo che si festeggia il 21 giugno, il primo giorno d’estate. Comunque Luigi era un bellissimo nome. Da quel poco che ho capito, è sempre stata una fan scatenata di Laura Pausini (che pia-ce molto anche a me) ed è una mangiatrice di televisione. Non si perde nemmeno un telefilm. Figuriamoci i reality show. Il suo sogno un giorno è di poter entrare nella casa del grande fratello. Mi piaceva molto perché anch’io ho sempre adorato i telefilm e i reality show. E poi il telefilm “Dawson’s Creek” ha segnato la mia vita per sempre. Il suo protagonista Jack, era quasi del tutto uguale a me: Dolce, tenero, timido, insicuro con tante persone intorno a lui che giudicavano senza sapere. Ma anche con tanti amici, speravo che tutto ciò potesse essere di buon auspicio. Mi sarebbe piaciuto essere lui, con le sue paranoie e difficoltà, ma anche con le sue felicità apparenti e momentanee. E poi chi non avrebbe voluto due amiche come Jen e Joey? Quando Jen morì nell’ultima puntata mi scesero le lacrime.
    Marcello era così bello, lo guardavo e riguardavo. Guardavo tutti loro, mi sembrava di rivivere le atmosfere familiari de “Le fate igno-ranti”. Che bello, ero davvero felice!
    Quando terminammo il primo, alcuni lasciarono il proprio posto a tavola. Mi diressi in bagno e notai che nella mia stanza c’erano mia zia Marisa e Nathan. Lui aveva in mano il mio diario, e stava leggen-do una delle mie poesie che avevo scritto. La poesia si chiama “La libellula danzante”:

    LA LIBELLULA DANZANTE

    In questo turbinio di sorrisi, inchini ed elogi,
    mi specchio in un mondo di ipocrisia e falsità
    dove la libellula danzante mi guarda,
    curiosa e prepotente,
    dall’alto della sua indifferenza.
    Sento la sua essenza indagatrice
    scrutare nuove vittime
    nel pieno della loro innocenza.
    Mi chiudo in un pragmatico silenzio
    fatto di sensazioni cupe, nere,
    dove nemmeno lei riuscirà ad entrare.

    Sentivo che parlavano di me, quasi avessero pietà. Il povero ra-gazzo frocio ripudiato dalla famiglia. No, non potevo accettarlo.
    <<vedo che ficcanasare nelle mie cose è diventato lo sport princi-pale in questa casa. Complimenti! La prossima volta perché non fac-ciamo una biglietteria per entrare nella mia stanza e leggere il mio diario? Almeno ci guadagno qualcosa.>>
    <<non sei divertente Marco>>, replicò Nathan.
    <<da quale pulpito viene la predica. Il dottor stranamore dei miei stivali. Sappiate che d’ora in poi non andrò più alle sedute del Dottor Zamboni per farmi prendere in giro da un incapace come lui! Non ho alcun tipo di problema, invece su voi due ho i miei dubbi. Ora tor-niamo dagli altri e non rovinatemi almeno questo giorno.>>
    Li lasciai lì, attoniti, mentre tornavo a sedermi al mio posto. Le pietanze furono servite ancora, ma sentivo come se l’atmosfera della situazione fosse cambiata irrimediabilmente. Non ero più felice come prima. Perché la gente deve sempre farsi i fatti altrui? Proprio non lo capisco. La tavola era imbandita di ogni ben di dio, ma a me sembra-va così spoglia, così misera.
    Dopo aver finito tutte le pietanze, giunse il momento della torta. Era stupenda, almeno esteticamente. Dopo aver fatto qualche foto ri-cordo, giunse il momento dei saluti, ma la mitica Dani se ne uscì con l’ennesimo colpo di scena.
    <<stasera si festeggia tutti insieme sulla spiaggia il compleanno di Marco!>>
    Non ci potevo credere. Aveva anche organizzato una festa per me. Il motorino era già troppo. Dani aveva davvero un cuore d’oro!
    Se n’erano andati tutti. Eravamo rimasti solo noi quattro che era-vamo di casa e Marcello, l’ospite a sorpresa. Io e lui ci chiudemmo nella mia camera. Avevamo tante cose da raccontarci.
    <<sai, oggi compio diciotto anni, nessuno della mia famiglia in Puglia si è degnato di farmi una telefonata d’auguri. Per non parlare di Raouf, che predicava bene e razzolava male. Non è rimasto nessu-no lì in Puglia che tenga veramente a me.>>
    <<non è vero. Io tengo a te, lo sai>>, disse lui fissandomi negli occhi.
    <<il nostro però era un insieme di sguardi, in realtà non ci siamo quasi mai parlati.>>
    <<sì, è vero. A volte un silenzio e uno sguardo, valgono più di mille parole.>>
    <<ma dimmi, poi a te cosa è successo? Sei rimasto in quella scuo-la?>>
    <<no, sai che la gente mormora e parla a sproposito. Ho preferito allontanarmi e andare a scuola ad Altamura.>>
    <<È stato difficile ambientarti?>>
    <<beh, un po’ sì, ma io sono uno che non molla mai!>>, rispose lui sorridendo.
    <<comunque grazie mille per il regalo, anche se la cosa più bella è vederti qui. Come hai fatto a venire sin qui? I tuoi te l’hanno per-messo?>>
    <<i miei ufficialmente sanno che sono venuto a trovare una zia in Calabria, e per fortuna la zia mi tiene il gioco. Comunque non hai vi-sto bene nel portafogli, c’è qualcos’altro.>>
    Presi il portafogli, frugai nelle tasche e trovai un bigliettino. Lo lessi subito:
    <<questo è un buono per avere un bacio da Marcello.>>
    Mi fece sorridere quel bigliettino…
    <<caro Marco, noi abbiamo lasciato qualcosa in sospeso sette mesi fa, vero?>>, chiese lui facendomi l’occhiolino.
    Non sapevo che dire. Ero emozionato e imbarazzato allo stesso tempo. Lui mi si avvicinò dolcemente, mi prese la testa e le sue labbra si avvicinarono alle mie. La sua lingua entrò imperiosamente nella mia bocca. La mia lingua rispose immediatamente, inesperta, ma desiderosa di imparare. Avevo gli occhi socchiusi per assaporare me-glio quel momento, ma poi tornavo a vederlo e mi meravigliavo nuo-vamente della bellezza di quella situazione. Fu così che avvenne il mio primo bellissimo bacio. Anzi, in realtà fu più di uno. La cosa si prolungò per parecchio, almeno cinque minuti buoni. Quando poi fi-nalmente ci staccammo, ci guardammo negli occhi. In quegli occhi neri mi sarei perso volentieri.
    <<ti ringrazio. Questo è il mio primo bacio e lo ricorderò per sempre>>, dissi visibilmente emozionato.
    <<non c’è di che! Per te questo e altro!>>
    <<marcello, ma quando riparti per Santeramo?>>
    <<domani mattina. Resto per la festa di stasera e poi parto.>>
    <<okay, grazie bello. Non saprò mai come ringraziarti per essere venuto a trovarmi.>>
    <<non ti preoccupare, è stato un piacere!>>
    Era pieno pomeriggio e non sapevo che fare. Decisi di accompa-gnare Marcello per la città e comprai anche un lucchetto, per bloccare i miei mobili, e quindi gli occhi indiscreti che ultimamente frugavano tra le mie cose.

    12
    Festa in spiaggia

    Era quasi buio e allora decidemmo di dirigerci alla festa della mi-tica Dani. C’era già qualcuno, non importava se non conoscessi nes-suno di loro. L’importante era divertirsi. Dopo pochi minuti la spiag-gia era davvero piena di gente, c’erano anche tutti quelli presenti al mio pranzo di compleanno. La verità è che io non sono mai stato un tipo da feste e quella poi era una festa a base di balli latino-americani o da discoteca. Di certo non era la mia musica e poi non ho mai sapu-to ballare. Stavo lì, gustando una coppa gelato all’amarena mentre guardavo gli altri divertirsi in una maniera a dir poco allucinante. Mi sembrò addirittura di vedere della droga girare. Non ne ero certo, ma alcuni ragazzi stavano proprio male e fuori di testa. Ad un certo pun-to, mi si avvicinò Nathan dicendomi che doveva parlarmi. Ci allon-tanammo un po’ dalla gente che ballava e ci sedemmo sulla sabbia.
    <<volevo chiederti scusa per oggi. Non dovevo frugare tra le tue cose. Comunque se vuoi, puoi continuare a venire da me.>>
    <<accetto le tue scuse ma preferirei non venire più da te. Non rie-sco più a fidarmi di te o forse non mi sono mai fidato.>>
    <<mi spiace sentirti dire questo, però posso capire il tuo stato d’animo>>, disse lui sembrando di essere il più sincero possibile.
    <<certo, se non lo capisci tu che fai lo psicologo.>>
    <<comunque quella poesia è davvero molto bella.>>
    <<grazie.>>
    <<senti Marco, devo ammettere che in tutto questo tempo mi so-no affezionato a te. È vero che sei un ragazzo pieno di dubbi e di paure ma sei anche molto dolce e tenero.>>
    <<scusa, non riesco a capire dove questo concetto vada a fini-re.>>
    <<mi piaci, mi piaci molto.>>
    Non potevo crederci. Probabilmente quello era un altro dei suoi sporchi mezzucci per farmi uscire allo scoperto più di quanto non lo fossi già in realtà.
    <<no, non mi freghi con questi trucchetti da quattro soldi. E poi ti ricordo che sei sposato e che tua moglie aspetta un bambino!>>
    <<vedrai che lei non se ne accorgerà.>>
    <<secondo me non dovresti fare lo psicologo, ma il paziente! Co-sa ti frulla in quel cervello? Allontanati da me e fa finta di non avermi detto nulla. Fatti curare, te hai bisogno d’aiuto molto più di me.>>
    Nathan si allontanò ed io rimasi lì, solo, in disparte. Osservavo af-fascinato la brillantezza indescrivibile delle stelle sotto il chiaro di luna. Uno spettacolo che mi fece venire la pelle d’oca.
    Dieci minuti dopo Dani venne a sedersi al mio fianco con due bic-chieri di martini.
    <<tieni, ti ho portato un Martini. Cosa ci fai qui tutto solo? Non ti piace la festa che ti ho organizzato?>>, chiese lei preoccupata.
    <<È molto bella Dani, non ti preoccupare. Osservavo solo la bel-lezza di alcune stelle.>>
    <<volevo dirti che sono contenta che tu ti sia trasferito in Sicilia, e spero che tu rimanga ancora a lungo.>>
    Non feci nemmeno in tempo a risponderle che mi baciò, all’improvviso. Non era però la cosa peggiore che potesse capitare. Davide aveva visto tutto. Era lì, impietrito, aveva assistito a quella scena. Si sentiva tradito. Lui amava Dani e se la prese a morte con me. Sembrava una di quelle scene che si vedono solo nei film e pensi che nella realtà non accadano mai.
    <<che lurido bastardo! Questo non me lo dovevi fare.>>
    <<no, non è come pensi, è stata lei a baciarmi.>>
    <<sì, però tu non ti sei scostato da quel bacio.>>
    <<dai, non te ne andare, lei non mi piace.>>
    Daniela era lì, impassibile, non riusciva a spiegarsi quella situa-zione. Dovevo fare qualcosa per rimediare a quell’accaduto.
    Uscii allo scoperto.
    <<non mi piace Daniela perché sono gay!>>, urlai furioso.
    Ci fu il gelo in quella prima notte d’estate. Sentivo gli occhi di tut-ti puntati su di me. Tutti avevano sentito. Potevo vedere gli sguardi sorpresi di Davide e Daniela.
    <<se davvero sei gay, bacia un uomo sulla bocca e allora ti crede-rò.>>
    La situazione stava diventando davvero surreale.
    <<ma che cavolo dici! Non posso baciare chiunque.>>
    Davide si avvicinò ad un ragazzo brutto e obeso che era lì alla fe-sta e lo portò dinanzi a me.
    <<lui è mio cugino Oronzo, so per certo che è gay. Bacialo.>>
    <<non voglio baciarlo. È brutto e grasso. Non mi piace per niente. E poi non bacio il primo che capita.>>
    Oronzo stizzito se ne andò via lasciando definitivamente la festa.
    <<lo sapevo che mentivi.>>
    La situazione era diventata paradossale, ciò che peggio è che Mar-cello era lì, aveva assistito a tutta la scena. Mi venne in mente di chiedere un bacio a lui, così potevo finalmente mostrare la mia inno-cenza.
    <<marcello mi vuoi baciare?>>
    <<no, non sono venuto qui per dare spettacolo. Se ti sei cacciato in un pasticcio, cerca di uscirne con le tue sole forze e non mettere in mezzo gli altri>>, replicò lui stizzito.
    Pieno di rabbia e di vergogna me ne tornai a casa lasciando gli altri lì a divertirsi. Non rividi neanche Marcello che decise di partire con qualche ora di anticipo senza salutarmi. La cosa che mi faceva più rabbia era che Daniela sapeva la verità, ma non aveva detto una sola parola per scagionarmi, nessuna.
     
    Top
    .
  7. Finr0d
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    WOW!!! Scrivi molto bene!
     
    Top
    .
  8. DaniMZBradley
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Bravo! E poi c'è anche una Daniela!! :P
     
    Top
    .
  9. luigiilfollettodeiboschi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CIAO RAGAZZI.
    VI VOLEVO SEGNALARE UN'INTERVISTA CHE UN BLOG MI HA FATTO IERI. L'INTERVISTA PARLA DI ME E DI QUESTO ROMANZO.

    http://ilmondoespansodeiromanzigay.blogspo...gi-dinardo.html
     
    Top
    .
8 replies since 2/6/2012, 17:18   119 views
  Share  
.